San Michele (Sacra)-San Michele (Fossano) a piedi. Il resoconto di Burdi

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E’ successo che durante un fine settimana di Luglio, 14 impavidi pellegrini -Virginia, Luca B, Simone, Stefano, Derio, Luca V, Gabriele, Michele, Ilario, Giacomo, Nadia, Michela e Chiara e Andrea- abbiano camminato dalla Sacra di San Michele fino alla cappella di San Michele a Fossano, passando per Giaveno, Pinerolo, Torre San Giorgio e Savigliano (qui il percorso). Fedeli all’antica tradizione del pellegrinaggio, hanno cercato rifugio e ristoro presso amici e conventi, e faticato e sudato sotto il sole per 64km.

Non potendoci spiegare cosa li abbia spinti a farlo, abbiamo chiesto ad alcuni di loro (i sopravvissuti) di descriverci la loro esperienza, sperando che possa essere da stimolo ad altri aspiranti pellegrini. Iniziamo con il racconto di Burdi (in arte Luca B), uno dei promotori di quest’avventura.

Sacra di san Michele, Giaveno (prima sera, 7 km), Cumiana, Pinerolo (secondo giorno, 25 km), Torre San Giorgio, Monasterolo, Savigliano, Strada dell’apparizione, Cussanio, Fossano, Cappella di San Michele (terzo giorno, 33 km a piedi e 29 km in macchina).

Ripercorrendo ora lo svilupparsi del cammino da quando ancora era un’idea alla sua effettiva percorrenza ricordo alcuni momenti che mi sembrano significativi.

FATICA: il secondo giorno siamo arrivati a Pinerolo dopo 25 chilometri, 8 dei quali percorrendo una lunga strada grigia tra capannoni desolanti e desolati e lo snocciolarsi di rotonde.

La periferia: questa è stata forse la prima fatica. Il paesaggio là non era più affascinante come nel tratto precedente, non appagava lo sguardo, annoiava. Qualcuno di noi più tardi ha apostrofato in modo curioso questo tratto: “è stato interessante camminare tra le righe bianche dei parcheggi e i muretti circondariali perché è un gesto insolito (muoversi a piedi) in un luogo solito: un modo per cambiare punto di vista”.

Per dovere nei confronti del paragrafo provo a elencar altre fatiche: la corsa in salita dei maschi del gruppo all’arrivo in Pinerolo, l’attesa di Italia-Germania in piazza tra l’indifferenza di alcuni e l’ansia pre-partita di altri, l’attesa della doccia, i rigori (una doccia fredda), il pranzo al sole del Sabato, la guida “forsennata” di Don Andrea che come un’ombra ha seguito i nostri passi…passo a passo.

IDEA: nel mese che ha preceduto la partenza, insieme a Don Derio e il Vescovo Piero Delbosco, abbiamo percorso in macchina e in alcuni brevi tratti a piedi il tracciato che, proprio in quei giorni, è diventato tale.

La Sacra di San Michele ha storia antica, lo stesso potremmo dire delle cordiali e accoglienti suore di San Giuseppe che ci hanno ospitati a Pinerolo in una caratteristica casa-rifugio in pietra.

La Sacra di San Michele, dicevamo, ha storia che risale al XIII secolo; già dalle sue origini era tappa del pellegrinaggio che da Mont Saint Michel, nel nord della Francia, scendeva in Puglia a Monte San’Angelo e, per chi osava ancora un po’ di strada, arrivava a Gerusalemme.

I cammini che partono o passano dalla Sacra di San Michele hanno una tradizione importante. Il senso del nostro percorso è stato dunque caratterizzato dal riconoscere che ciò che stavamo facendo già ci precedeva (i pellegrinaggi medievali) e ci seguirà. Il nostro cammino è stato un test, abbiamo provato il percorso per valutarne la ripetibilità futura con chi ogni anno diventerà maggiorenne.

Il passato (il cammino dei pellegrini) e il desiderio futuro (un rito di passaggio per i diciottenni) di questo sogno bizzarro l’hanno trasformato in idea: dall’intuizione alla possibilità di attribuire ad essa un significato, collocarla in una storia che ci supera.

Forse, penso ora, diventare adulti si accompagna al collocarsi in una storia che ci precede, ancor prima dei propri genitori, e che ci supererà. È una consapevolezza che ridimensiona e, insieme, allarga lo sguardo di fatiche e desideri.

IL SALUTO: mi è sempre piaciuto molto chiacchierare, ascoltare e raccontarsi camminando.

Le chiacchiere di passaggio sul cammino mi ricordano un fraseggio:

ci si accosta l’un l’altro, le parole si alternano al silenzio, escludendo l’imbarazzo.

Ci si sente vicini. Virgola, a capo.

Si cambia passo, ci si allontana ma si è vicini ancora.

Si continuano i passi in solitaria. Virgola, a capo.

Ci si accosta a qualcun altro.

Talvolta i discorsi ritornano con persone differenti. In altri momenti questi variano e a ripresentarsi sono i compagni di passo.

Ecco nascere un fraseggio: silenzi, variazioni di tema, di genere, dall’introspettivo alla commedia.

Torno al tema: sono sempre stato attratto dal saluto solidale che, correndo o pedalando, si rivolge a altri “runner” o ciclisti di passaggio: si incrocia uno sguardo, si prova per alcuni istanti a dominare il fiatone per dar lustro alla fatica, si sfodera un saluto benaugurante, un “ciao” disattento ma incoraggiante.

Questo scambio sembra avvicinare chi, passando, ha in comune la fatica, il caldo, la sete o il desiderio di arrivare.

“Avvicinarsi”, questo slancio sembra anche aver accompagnato i tre giorni di cammino con un clima camerale, di quelli che raccontano che l’occasione è speciale.

Per dovere nei confronti del paragrafo sui saluti provo a ricordarne altri ancora: gli amici e i parenti che ci hanno attesi alla cappella di San Michele, la mano stretta nella pace durante la messa, la cucina operosa dei volontari del Borgo Nuovo, le ragazze di Giaveno che con salti e cori ci hanno accompagnati in pizzeria.

Il cammino sembra suggerire le parole “più in là”: re-incontrarsi tra noi, poi potendo accompagnar chi nei diciott’anni si addentrerà.

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